martedì 29 dicembre 2009

Canzoni che mi uccidono - 3 - L'amore ai tempi del caos

Piove. Piove fottutamente. Piove come se tutti gli angeli del cielo si fossero messi in fila, uccello in mano, a spegnere le braci di un fuoco ormai morente. Piove, più o meno ininterrottamente, da 4-5 giorni, dalla vigilia di Natale. Piove, alle volte con tanta forza che temo l'ombrello sia lì lì per cedere sotto tutta quell'acqua; altre volte all'inglese, senza quasi che ci si faccia caso. Piove. E a questa mia sciocca testolina di credente piace pensare che Cristo, a furia di sentire il suo nome bestemmiato nelle più diverse lingue, sia sceso a controllare la situazione del mondo e che poi, tornato nella gloria dei cieli, si sia messo a piangere. Lacrime di pioggia quindi, per dirla alla Venditti. Quando invece sono più cinico (di solito dopo avere bevuto) smetto di illudermi e, se proprio voglio restare sul teologico/blasfemo, torno alla prima idea degli angeli piscianti.

Chiamatemi pazzo. O cretino. Sì, forse cretino è più appropriato, vista la cazzata che sto per dire; anche se illuso, pirla, sciocco, inutile e quant'altro vi venga in mente su questo tipo va benissimo lo stesso.
Chiamatemi come vi pare, insomma, ma alcuni di questi giorni di pioggia, con nubi, luce e acqua dosate in u certo modo, mi fanno sorridere. Perchè, vi chiederete. Perchè era un giorno così la prima volta che sono uscito da solo con lei.
Ridete, ridete pure. Lo so bene che, in fondo, resto solo un sentimentale del cazzo. E avete ragione a ridere. Avete ragione, perchè in fondo quella prima volta insieme non è stata proprio niente di che (anzi...); perchè, se proprio vogliamo fare due conti spassionati, sono 4 mesi che le vado dietro e ancora non ho concluso una ceppa; perchè preferisco tenere le mie emozioni per me piuttosto che mostrarle apertamente, di fronte a tanta gente; perchè in fondo sono timido (nonostante l'atteggiamento da cazzone) e i timidi in questo mondo lo prendono in culo. Avete ragione a ridere. E ridete dunque!
Ridete, perchè è ridicolo sorridere dinnanzi alla pioggia, tanto più dinnanzi a un ricordo.
E' ridicolo ricordare sorridendo quell'ultimo giorno di vacanze estive quando, tutti e due sotto gli ombrelli e sotto la pioggia, attraversando la Nomentana, le ho detto ".. solo non vorrei che stiamo andando a vuoto..."
E' ridicolo ricordare con piacere la sua risposta "Chi se ne frega; alla peggio ci siamo fatti una passeggiata insieme.."
Nelle giornate così non ascolto, come facilmente si potrebbe immaginare In un giorno di pioggia dei Modena City Ramblers. No. La canzone che mi fa sussultare nel profondo è sempre firmata MCR, ma è di una dolcezza ancora più intima e gentile, come una poesia lontana... L'amore ai tempi del Caos.


Era un giorno freddo d'inverno
e sulla strada ho incontrato il mio amore,
mentre intorno gente correva,
gridava certezza vendeva opinioni...
Pioveva forte là fuori,
lei mi ha raccolto e mi ha preso per mano
"E' arrivato il tempo"
mi ha detto dolce
"di asciugarmi" e mi ha offerto riparo...
Se il vento soffia
e grida forte
e la notte è gelida e scura
il mio amore è un uccello che canta
e mi aspetta sotto la luna

sabato 26 dicembre 2009

Canzoni che mi uccidono - 2 - La città che muore -

A molti non piace questo periodo dell'anno; io lo adoro.
E non è per le feste, sia chiaro! Anzi, se non fosse per lo svacco che ne deriva, le feste sarebbero i momenti più deprimenti di questo tempo primo invernale.
E' che mi piace uscire di casa il pomeriggio, verso le 5:30/6:00, e trovare l'oscurità, le strade illuminate dai lampioni. Quando poi, verso marzo-aprile, la luce torna giorno per giorno a mostrarsi sempre più, allora mi intristisco.
Un attimo però: questo non vuol dire che non mi piaccia l'estate, quando prima delle 9:30/10:00 non è notte! E' solo che sono un border line; non sono capace di mezze misure... Ed è così che in questi giorni, non freddi come ci si aspetterebbe, passeggio.
Non mi piace stare chiuso in casa, e poi verso le 6 ho spesso voglia di fumare. E di rollare. Poche cose mi rilassano come una sigaretta al drum alle 6... forse solo una sigaretta al drum alle 8, o a mezzanotte...

Da un po' di tempo il traffico sulla tangenziale, vicino casa, non è più lo stesso.
... Sarà che hanno modificato un po' i percorsi a causa dei lavori; resta il fatto che le vetture scorrono più veloci. Più veloci. Più veloci ancora. Perchè è di questo che c'è bisogno: di velocità. Tutto va di fretta, tutti di fretta. E a poco a poco ci si scorda di essere umani.
Non è facile essere uomini e donne, vivere la propria umanità insomma, in un mondo che vuole tutto subito. E veloce. Più veloce.
Mentre penso a tutte queste cose insieme, solitamente arrivo in cima a una salitella: da lì vedo le montagne fuori Roma, quando il cielo è limpido, e più vicine, le borgate. Mi arrotolo un'altra sigaretta e faccio ripartire la canzone che ho appena finito di ascoltare. Le primissime parole cominciano sin da subito a imprimere il loro ritmo anche nel mio cuore.

Si capisce dall'odore
questa è la città che muore

Accendo la sigaretta. Il tabacco riempie subito i polmoni, dal primo tiro. Guardo la tangenziale, a pochi metri da me: la città che muore. Muore senza accorgersene, proprio perchè ha perso l'identità umana che aveva. O che, almeno, dovrebbe avere. Il mondo è cattivo. Guardo in alto, verso una finestra. Valuto velocemente che l'averlo capito prima degli altri, e ora che sono giovane, non mi rende certo speciale.
Continuo a essere un perdente del cazzo. Continuo a guardare quella finestra. La voce continua a cantare.


Questa è la città che muore; ma non preoccuparti amore:
io ti solleverò fin quando le mie gambe reggeranno...

giovedì 24 dicembre 2009

Canzoni che mi uccidono - 1 - Human Touch

Ero seriamente arrivato al limite: dopo un mese passato nella purezza di parole avevo ripreso a bestemmiare. Tutto in una sera, e di brutto. Perchè? Perchè in quel momento, come mai prima, illuminato da quella saggezza che solo quattro doppio malto seguite da quattro rum e pera possono dare, avevo finalmente compreso la verità: Dio, se realmente esisteva, se ne stava sdraiato nella sua magnificenza di nuvole e oro, ridendo di me. Ridendo. Anzi, forse proprio sbellicandosi. Nemmeno fossi un fottuto comico di zelig. Rideva, quel porco insensibile, delle mie sventure; ma non mi era ancora chiaro se tutto facesse parte di un suo piano prestabilito (estremamente condito dal più acceso sadismo, non c'è dubbio) o se il padreterno fosse semplicemente come quei deprimenti ciccioni dei classici film americani, sprofondati in poltrona con addosso un orrendo pigiama a righe e una cannottiera sudaticcia, avanzi di pizza e di birra ovunque intorno, imbambolati a guardare la televisione: tutto, fuorchè umani.
Ne avevo le palle piene in quel momento. Come se non bastasse, avevo perso il tabacco. Chissà se, a furia di bestemmiare il suo nome, e non invano, quel gran Signore si degnerà un giorno di rivalutare il suo modo di fare...
Senza un cazzo da fumare, ero proprio alla frutta. La serata era stata una vera merda, tutto quello che non era prevedibile aspettarsi era successo. Mentre mi crogiolavo in questi pensieri di alta teologia assieme a Valerio e Andrea, di gran lunga più ubriachi di me, mi resi conto che erano già le due di notte. Cazzo! E chi me la toglie, anche questa sera, l'inculata di paparino? Certo non tu, caro il mio Dio... Ormai è chiaro che sto più sulle palle a te che alla professoressa di inglese (il che è tutto dire)...
Salutai quei due alcolizzati e gli augurai buon Natale, sperando vivamente che non finissero sotto a un tir, visto il loro stato comatoso.
Mentre mi incamminavo verso casa accesi l'i-Pod: partì la riproduzione casuale e, con quella prima canzone, il tempo sembrò fermarsi. Il Boss. Il caro vecchio Bruce Springsteen. Io che l'inglese non lo capivo, di fronte all'evidenza di quelle parole, forse grazie all'alcol in quel momento sin troppo chiare, quasi mi misi a piangere...

I just want someone to talk to
And a little of that human touch...
Aint no mercy on the streets of this town
Aint no bread from heavenly skies
Aint nobody drawing wine from this blood
It's just you and me tonight...
Oh girl that feeling of safety that you prize
Well it comes at a hard hard price
You can't shut off the risk and the pain
Without losing the love that remains
Were all riders on this train...

"Human Touch". Bruce, vecchio stronzo! Come sempre mi porti a rivalutare tutto... Infilai le chiavi nel portone di casa ed entrai.


domenica 20 dicembre 2009

Regalo di Natale... Lungo i viali

Hi gente!

era da troppo che non scrivevo e quindi, per farmi perdonare (e introdurre, al contempo, un prossimo argomento), vi devo assolutamente linkare una cosa...:
La pagina in cui vi state per buttare non vi suonerà familiare. Non capirete nemmeno di cosa cazzo stia parlando, o sopratutto chi stia parlando. Le parole sono di Fabrizio Coppola, quel mitico cantautore milanese che, ho deciso, sarà il prossimo soggetto di ammorbamento per quanti tra voi si ostinano a leggere le mie cazzate. Codesto Coppola ha deciso, per Natale, di regalare in free download un pezzo arrangiato in chiave acustica ai fans. Cosa questa che naturalmente non potevate non sapere!
Perciò se ora cliccate qui, basterà, immediatamente dopo, solo cliccare un'altra volta su "scarica il brano"... facile, no?
Un commento sarebbe gradito, visto che sono mesi che non ne vedo su queste pagine... Io questa canzone la adoro, anche se la preferisco decisamente in chiave rock. Le parole.... una poesia:

io negli occhi tuoi
sento solo una voce che tace
e che non ricorda più com’eri
tre anni fa

quando tutto cominciò
stavamo stesi al sole d’estate
ci stringevamo d’inverno
e tutto scivolava via

io adesso riesco a camminare
anche dieci minuti
senza respirare
nascosto e distante
solo lungo i viali

sei ancora in grado
di scrivere lettere d’amore
o tutte le parole
ti sembrano stupide?

riesci a dire in giro
cosa succede nella tua testa
o sei costretto a tenere
tutto dentro di te?

io adesso vorrei cancellare
ogni singola voce
che mi esplode in testa
lasciarla a marcire
fuori lungo i viali

io adesso vorrei camminare
anche dieci minuti
senza respirare
nascosto e distante
solo lungo i viali

Fabrizio Coppola - Lungo i viali -

mercoledì 2 dicembre 2009

Poesie sparse...11 -Pegasus-


Pochi versi dedicati a "Pegasus", la compagnia aerea turca del cazzo grazie alla quale abbiamo tardato quasi 7 ore per le traversate Roma-Istanbul e Istanbul-Roma.
Parole che escono di getto dal cuore...





A te, mio caro Pegaso
equino spaurito e gallinaceo
auguro caramente
che un giorno Zeus ti tolga le tue ali
e che tu torni a divorar carote.
Comincia a ruminare brutto inutile
Schianta nell'Ellesponto e te ne prego
con le tue ali spiumate
riempici i miei cuscini

venerdì 6 novembre 2009

Il caffè, la sigaretta,
l'attesa,
l'attesa, la sigaretta
i miei occhi sono più azzurri
-Ghiannis Ritsos-













venerdì 30 ottobre 2009

L'importanza di chiamarsi Bagheera


“Tutti la conoscevano e nessuno osava tagliarle la strada perché era astuta come Tabaqui, coraggiosa come il bufalo selvaggio e temeraria come l’elefante ferito. Ma aveva una voce dolce e una pelle più morbida della piuma”



Bagheera: il primo vecchio lupo (e conseguentemente il primo capo-scout) che ho conosciuto, dieci anni fà ormai, in una fredda sera tra gennaio e febbraio 2000, poco dopo avere compiuto 8 anni, nella vecchia tana del branco.
Il Bagheera della situazione, all'epoca, era quel pirla del mio attuale capo-clan: un figuro ambiguo tutto particolare, conosciuto ai più con l'appellativo di "Barzo"...!
Barzo-Bagheera è quindi il ragazzo che mi "inizia" allo scoutismo.
Dopo dieci anni comincio il mio primo servizio nelle branche come Vecchio Lupo al mitologico "Dhak", assumendo proprio il nome di Bagheera.

Se va avanti così otterrò il record come Bagheera più assenteista della storia del Gruppo. Questo mi dispiacerebbe. Sopratutto perchè, nonostante gli scazzi, il fatto che i lupetti sò bambini e gli devi stare sempre appresso, che te devi inventà una cazzata ogni due minuti per farli felici, che te fai un mazzo tanto per fà le cose fatte bene sennò li rincoglionisci e non hai risolto niente, nonostante tutto questo e tante altre cose, io quei bambini già li adoro.
Il servizio in branca (forse proprio il servizio con i bambini, chissà...) era il senso che mancava alla mia vita.
Il senso che serviva per farmi più responsabile, per farmi comprendere davvero il significato che ha "DEL NOSTRO MEGLIO", una parola maestra imparata troppi anni fà e mai capita davvero fino a ora; il senso che mi mancava per farmi studiare di più (perchè se non studio non posso andare a fare Bagheera...); il senso che mi impedisce di pensare alle tante pippe mentali inutili dentro cui sguazzerei solitamente, se non avessi avuto la possibilità di conoscere i lupetti, di diventare il loro fratellone maggiore, il loro educatore, il loro Bagheera.

Grazie Bagheera, per il senso che stai dando alla mia esistenza...

« Zampe che non fanno rumore, occhi che vedono nell'oscurità, orecchie che odono il vento delle tane, denti bianchi e taglienti »

sabato 24 ottobre 2009

Mentre al bar si chiedono dove sei finita

Un po' di pubblicità per mio cugino Filippo e per Cervellonero, il suo mitologico blog... Mi aspetto che nelle prossime settimane la sua pagina si riempia di vostri commenti entusiasti, schifati, inorriditi, esaltati, strafatti... pieno di sregolatezze di ogni genere, senza un'effettiva direzione, cinico senza dubbio nè paura, autoironico, entusiasmante, terribile.
Questo è Cervellonero.

Sei come una bella storia.
(...)
di chi scrive di te perché non ti avrà mai.
E di chi di notte t’ascolta…
con la testa sul cuscino e gli occhi chiusi,
raccontata piano piano nell’orecchio…
perché a me non piace che le belle storie siano di tutti.
Piano piano nell’orecchio…
senza che nessuno ti senta,
mentre al bar si chiedono dove sei finita.

Peccato che
come spuma sulla cresta dell’onda
non riusciamo a non vivere sulla superficie di noi stessi,
soffocati dai battiti del nero cuore dell’accadere.

Non sei una terapia
sei solo un’utopia.
Non sei una terapia
sei solo una miopia.

In mancanza d’altro
sono quello che vedo.
Un pezzo di pane
in bilico sul lavandino
di una cucina.

Io e te,
come gatti,
ci graffiamo
attratti
a tratti.

Che pena.
E’ la più bella,
ma si vergogna a uscire di casa.
Dopo che gliel'ho fracassata contro il muro,
non riesce più a montarsi la testa.

Dicembre.
Giorno qualunque
col cuore che piange
col domani che spinge
Ti penso alle cinque.

Guidava la sua macchina nera nella notte della città.
Era cattivo.
Non c’erano particolari motivi perché lo fosse.
La famiglia l’amava, gli amici lo rispettavano, la donna lo credeva il miglior compagno che avesse mai avuto.
Ma era cattivo. Crudele. Spietato.
Era nato così.
80. 90. 100 all’ora. Non andava da nessuna parte. Non pensava.
Stringeva i denti e accelerava.

Continuo a ripetermi
che non tutte le donne sono puttane.
Lo sono solo le mie.

-Charles Bukowski-

Saludos hermano querido!

mercoledì 14 ottobre 2009

Poesie sparse...10 - Il first man è solo il cantante -

Al basso sono bravo, è risaputo
(probabilmente per affinità di toni)
come chitarra no, non vado male
alle tastiere faccio divertire
e se do il ritmo so tenerlo bene
ma nonostante questo non mi vedi.
Il first man della band, si sa, è il cantante.

martedì 29 settembre 2009

Finchè Inverno Non Ci Separi

Questa era un sacco di tempo che volevo postarla: è un raccontino breve, d'amore, tutto particolare. L'ha scritto Luisa Iervolino, una scrittrice d'effetto e di talento oltre che, come primissima cosa, un' amica. La stessa CheshireCat delle foto, tra l'altro. I suoi blog li potete vedere nella colonna a sinistra, sono lì da un po'. In caso spizzate anche da qui e da qui.

Grazie Lu, per avermi permesso di postare questa tua magnifica perla e di poterla condividere con i due lettori due che ho...


C’era una volta un Giardino bellissimo, che sorgeva vicino al mare. Lì stavano moltissime e diversissime floreali creature, ognuna con il suo incantevole aroma, che si mischiava in una piacevole danza con quello del sale marino. In questo Giardino c’erano tanti Arbusti da frutto, tanti Cespugli a macchie gialle, rosa, viola e blu; tutti in gruppo, ognuno col suo simile, come sull’arca di Noè.

Ma in quella biblica scena solo una verde creatura era rimasta senza compagno. Un’unica pianta di Giglio, sola. Non bella, non brutta, ma solida e resistente al vento. Stava in disparte nel Giardino, così che sembrava che anche i cespugli la guardassero con disprezzo. La pianta generò un solo Bocciolo con tutte le sue forze, a fatica, come a voler dimostrare alle altre piante crudeli di saper mettere al mondo un Giglio bellissimo, dal candido colore. La neomadre voleva ora sentire le dolci parole del Padrone di casa, che lì l’aveva piantata; voleva essere orgogliosa del suo pargolo.

Eccolo! Arriva! Sembrano gridare i Cespugli quando il vecchio Padrone di casa si trascina fino al Giardino. Lento il passo, stretto tra le sue dita stava un gambo ignoto. Sul capo del verde corpo, un piccolo vermiglio Bocciolo, ancora acerbo. Ai piedi della pianta di Giglio, il Padrone apre una buca e vi poggia le caviglie mozze di quella nuova pianta. Una accanto all’altro, sotto lo stesso Cielo, una Rosa rossa piantata accanto alla solitaria, linfatica, stanca creatura di Giglio vestita.

“Piccolo figlio mio, destati! Ammira questo essere che il Destino ci ha posto vicino!”

Alle parole della dolce Madre, il bianco fiore si dischiude, stropicciandosi i petali con le foglioline addormentate. Impossibile distoglierle gli occhi di dosso. Calamitanti sfumature la vestono. Splendido il suo profumo, più dolce del miele che portano le Api nell’aria.

Amore a prima vista. Lui guardava lei, lei non lo guardava affatto. E i Cespugli attorno ridevano. “Che ridano pure!” dicevano al Giglio le Api rumorose, e lui rispondeva guardando solo la sua bella Rosa, come se fosse stato colpito in pieno dal classico fulmine a ciel sereno. La sera, alla luce della Luna, il Giglio cantava per Lei con la voce del Vento. Era consapevole dell’impossibilità di quell’Amore. “Madre, Lei è così bella ed elegante. Come potrebbe mai amarmi se neanche sa che esisto? Mi si gela la linfa al solo pensiero di rivolgerle la parola. Vorrei, ma ho il labbro muto, e non so parlare.” Piangeva il Giglio sulle foglie della genitrice. “Non posso che amarla da lontano, sperando che almeno gradisca il mio canto.” E passavano i soli e le lune sulle loro chiome. Un bel giorno di Primavera, quando le Cavolaie si inseguono in una passionale coreografia, il Padrone scese in Giardino. Teneva in mano un oggetto che le piante avevano visto molte volte. Il Padrone le chiama Forbici e le usa per accorciare i rami degli Alberi da frutto del Giardino. Ma stavolta no. “Si sposa sua figlia!” gridò un Cipresso, che aveva sentito uscire, dalla sua altezza, le parole della finestra della camera della giovane. “Vorrà un bouquet!” Le Piante restano mute, trattengono il fiato, sperando di non essere proprio loro a dover ornare la Sposa. Poi, dal nulla, un urlo vegetale. Alla pianta di Giglio viene portato via suo Figlio, recise le sue caviglie con le Forbici, letale strumento.

Minuti, lunghissimi minuti dopo, il bianco fiore si ritrovò in un vaso trasparente, con l’acqua che gli solleticava i piedi feriti e accanto ad altri fiori recisi come lui. Mai aveva provato il contatto con altri che non fossero sua Madre. Nella moltitudine di odori e colori la vide. La sua amata Rosa gli era capitata accanto nel caos del vaso. Il giovane Giglio ci mise circa tre ore per convincersi a parlare. E con voce emozionata riuscì solo a dirle “Ti amo”. Lei, imbarazzata (non curante di essere rossa già dalla nascita), emise un sospiro di sollievo, rilassando i petali vermigli della sua chioma. “Meno male…” disse a bassa voce, “non volevo essere io a dirlo per prima.”

Nel dì delle nozze della Figlia del Padrone di casa, stretti nel bouquet c’erano un bellissimo Giglio e una splendida Rosa rossa, i più belli tra i Fiori del mazzo.

Quel giorno i due giovani esseri vegetali si sposarono. E vissero felici e contenti, lo spazio di un mattino.

sabato 19 settembre 2009

Kabul, 17.IX.2009

Dei nostri fratelli Babilonia
beve il sangue e mastica la carne
è secco di dolore perchè ha pianto
diciannove lacrime il deserto

Alessandro Riccioni, di cui
avremmo parlato sicuramente a breve, torna tristemente attuale con il 29° componimento tratto da "50 grammi d'epos" (TerreSommerse editore), il cui titolo era Nassirya.
Passa il tempo. Cambiano le facce. Le situazioni purtroppo sono sempre le stesse. Questa volta il deserto è quello afghano, lo scenario è Kabul, le lacrime piante "solo" sei. Sei lacrime, la più grande delle quali aveva 37 anni, e non vedrà mai il proprio bambino andare a scuola; altre due invece stavano programmando il matrimonio...
E piangiamo tutti quanti allora, perchè la colpa è la nostra. Quei ragazzi vanno a morire in missione di pace, sì perchè il territorio è ostile, ma gli ostili, al tempo debito, ci faceva comodo sovvenzionarli giusto perchè combattessero una guerra volta ad abbassare il livello dello spauracchio sovietico. E adesso la frittata è stata voltata,
ora gli ostili si sono rivelati per quello che erano (ma tanto che ce fregava finchè non sò venuti a rompere le palle a noi?), allora siamo intervenuti, li abbiamo respinti, ma non definitivamente, perciò... siamo ancora lì.
Provo un profondo disprezzo per coloro che dicono che siamo lì come servi degli americani, per il loro petrolio. Queste persone le voglio vedere dopo che l'Italia sarà colpita da un attentato "in casa".
Ma basta, ho scritto pure troppo: di fronte al dolore la politica deve scomparire. Riscopriamoci per un momento Fratelli, uniti nel dolore di questi figli, madri, fidanzate, mogli per la scomparsa dei rispettivi padri, figli, ragazzi, sposi.

Ma crediamo che, almeno, non siano morti per nulla.


Aggancia la fune di vincolo
Spalanca nel vento la botola
Assumi la forma di un angelo
.. E via, pel tuo nuovo destin...

venerdì 11 settembre 2009

Poesie sparse...9

La vita d'oggi non fa divertire
tra luppoli impensati strani cocktail
e nuovi volti orridi di moda.
Vestiti? Non parliamo è un'altra storia:
i sandali da schiava preromana
camicie luci strane a neon di disco
le nike su capi Gucci e HM
Partite di calcetto affaticate
e fumo di catrame brucia in gola
Carrera fino a tarda notte fonda
visi copiati da film spazzatura
.. Le facce.. io li odio per davvero

domenica 30 agosto 2009

Poesie sparse...8 ... Dormi...

Di questa notte che se ne sta andando
nella magia del sonno non ti accorgi.
Si fa strada la luce è quasi giorno
e io disteso a terra te vicina
respiro con le orecchie i tuoi sospiri
appena scossi dall'agreste freddo
ultima eredità prima dell'alba.
Ti copro ti riscaldo
e poi mi arrendo alle scomparse stelle.
2-30.VIII.'09


UN PAIO DI NOTAZIONI: ...
... A dire il vero volevo postare un'altra poesia; ma visto che ultimamente certi miei versi sono stati "contestati", a volte quasi disprezzati, per quello che pubblico online cerco di essere il più lontano possibile da situazioni e persone che potrebbero sentirsi "coinvolti"... poveri piccoli!

... La situazione descritta -questa notazione è sempre per gli "offesi"- non è per forza di cose stata vissuta. Comunque non per forza è stata vissuta dalla mia persona. Magari è solo una pippa mentale e basta. O magari è proprio una situazione vera e reale, vissuta da me.. ma cosa cazzo ve ne frega??! Poesia, come si dice, è realtà di un'occasione e la sua proiezione cosmica... capito? O parlo troppo forbito? -nun me pare...-

... L'autore della canzone nel video si fa chiamare 4tu. L'ho trovato per caso mentre cercavo una canzone che non c'entrava niente su emule. Così è successo a tutti quelli che lo conoscono. Di lui so poco altro, a parte il fatto che è unico. Temo che qui l'unico poeta sia lui, quindi mi levo il cappello e produco un profondo inchino per lui -fiero di averti come amico su youtube!-

... Grazie a una fortunata serie di sbagli legati all'anonimato di questo figuro, ho scoperto Fabrizio Coppola, altro mito musicalmente parlando, almeno per me. (... sì Barzo..: proprio lui, la piaga!)

... I miei poveri versi di quest'occasione sono in parte ispirati proprio al brano "dormi", ma probabilmente lo avevate già capito...

domenica 16 agosto 2009

Dovevamo saperlo che l'amore -parte 4- CARbingers of the ECOcalypse

Questo video, visto per caso in tv, diventa un ottimo spunto per toccare un tasto molto delicato riguardo il nostro vivere quotidiano... e per aprire, in futuro, altre finestre.
Per affrontare questo problema ci viene in aiuto, ancora una volta, il magister professor Giuseppe Elio Ligotti: tuttavia non apriamo il discorso, come nostro solito, con "Dovevamo saperlo che l'amore", ma con "I numeri del fuoco", disponibile nelle librerie.

"... hanno dato fuoco a un centinaio di autovetture. Pareva la prova della notte delle streghe" confermò Edoardo. Poi ironizzò: "Il tuo vecchio amore per la macchina, eh?!"
"Certo. Io non mi rassegno a vivere in questa bolgia: l'invasione delle automobili, il traffico impazzito. E tutti zitti, tutti conniventi. E tutti isterici. Alle volte ho come l'impressione di essere l'unico a opporre resistenza. Intendo mentalmente".
"Ma la tua macchina non è parcheggiata lì fuori accanto alla mia?"
"Senti, il motivetto lo conosco: non possiamo più fare a meno dell'automobile. E lo credo. Hanno costruito le città a misura di tangenziale. E io che faccio, mi sottraggo?"
"Allora convieni che una resistenza di tipo mentale è pura frustrazione?"
"Convengo. Ma ogni frustrazione ha una sua valvola. La mia è il rifiuto del cervello all'ammasso. Quanto ai comitati di salute pubblica, nessuno mi toglie dalla testa che non esisterebbero se non ci fossero i comitati dichiarati di salute privata".
"Per me la tua posizione resta vagamente anacronistica"


..........


"Basta un semplice cambio di vocale, e una vocale in aggiunta. Stia a sentire. Caput mundi. Capote mundi... (...) Capote mundi. Come a dire che il centro del mondo si farà tettuccio del mondo. Fare dell'Urbe una città nel segno del centauro. L'intuizione di Tigellino, la sua intuizione, Gil, elevata a potenza, valorizzata, attualizzata. La città dei centauri. Un disteso garage a cielo aperto. Piazze, piazzole e vie: punto di collegamento e di raccolta per veicoli d'ogni tipo e targa; un enorme parcheggio, un oceano di alte cilindrate, di motori a scoppio, di padiglioni, castra motoria... fitti, fittissimi reticolati recintati da scocche e parafanghi, protetti da marmitte e cofani e cafoni, a perdita d'occhio. Un unico accampamento. Nè mancheranno le grandi pompe, gli sfarzosi distributori, le stazioni di servizio. Il più vasto serbatoio d'Occidente. Capote mundi. E' il destino dell'Urbe. L'esito più probativo della storia, la sua normale cloaca (...) Mai negare la storia, Gil, lei me lo insegna. Sotto ogni tabula rasa, c'è una platea d'attese, c'è un nuovo destino, o uno vecchio. Ecco: cancellare, fare tabula rasa, slargare la periferia, sventrare il centro, stroncare ogni parassitismo da bazar: non è la politica dei cavalieri?....

E adesso, direttamente da Dovevamo saperlo che l'amore, un ultimo brevissimo pippone da leggersi: fà un po' da spiegazione a quanto detto finora e getta il ponte necessario per aprire un discorso che cominceremo quanto prima.

“Ti faccio una predizione,” disse quello stesso pomeriggio Tomasi, perfettamente lucido. “Ascoltami bene, ragazzo! Non si arriverà agli anni novanta che il comunismo crollerà. E sarà merito della Chiesa. E anche dei miei scritti, in latino naturalmente. Hai capito cosa ho detto?”
“Tomasi, a me che il comunismo sovietico crolli interessa poco o niente. Anzi, forse lo auspico pure. Io sono un liberalsocialista.”
“Non esistono i liberalsocialisti. Non esistono! O si è liberali o si è socialisti. Ma uno con la tua testa queste cose non le capisce? Lo diceva anche Croce.”
“Croce aveva torto. Forse il comunismo crollerà, e ripeto: io lo auspico. Ma allora sorgeranno i veri problemi. Il capitalismo si scatenerà a tutte le latitudini, occuperà tutti i mercati, tenterà di schiavizzare il mondo con il miraggio del benessere e del petrolio. Bisognerà impedirlo. E non ci sarà che la via liberalsocialista. Il massimo della libertà, il massimo della giustizia sociale. Allora il mondo sarà liberalsocialista. O non sarà.”
“Tu mi farai impazzire, impazzire mi farai…”


... Fuori i vostri pareri adesso... NON SIATE TIMIDI!

martedì 11 agosto 2009

2°-4° tappa (Longoni-Musella)

Poesie sparse...7 (perchè per sbaglio ci sono due n.5!)
Dalla route in Valmalenco: Un pensiero vecchio quattro anni si incontra con la mia attuale penna e con situazioni completamente nuove.
La pioggia cade e il cielo è un po' più cupo
Nell'aere un lampo irrompe
e illumina la valle:
delinea questa notte e i suoi confini.

Questo è il mio cuore, come lo hai lasciato:
confuso come il cielo quando curva.

(Ad Andrew e Yasmine per l'aiuto nei primi quattro versi, a Fede per le attenzioni)

lunedì 20 luglio 2009

Truppe Cammellate... senza Camel


Ora vedo tutto più chiaro. Cose che prima non capivo, altre che invece non volevo proprio capire... altre ancora che, nonostante tutto, mi ostinerò sempre e comunque a non comprendere.
Chi fosse il più grande, non l'ho mai capito. Sicuramente c'è chi (e non sono certo io) ha fatto la scelta migliore... o almeno quella più furba. Sono un tipo difficile, lo so. Ho i miei cazzi per la testa, le mie poesie, le mie paranoie... C'è chi ha scelto, piuttosto che stare al passo con le mie paranoie, di diventare una paranoia. 'Bene così. Non si contesta nulla. Non ho mai contestato nulla, almeno in modo serio.
Ma tuttavia c'è qualcosa che non torna... La testa è sicura mentre sto per scrivere " 'sti cazzi"; il cuore batte alla solita frequenza... Eppure c'è qualcosa che stona.
'Sti cazzi.

Sei tu che mi hai esiliato dal tuo cuore
ma pure se sconfitto il cavaliere
mai si fa calpestare
e io così per evitare un'onta
da quel petreo paese me ne vado
con altri eroi di simili destini.

Siam scarti di poeti rattoppati
del neo millennio vittime e di noi
giaguari, sì, ma zoppi
e falchi senza un occhio
Guardiani di frontiere senza senso
le truppe cammellate senza camel.

Solo un paio di notazioni: Sto cambiando un po' di cose qua dentro... Come forse avrete notato l'immagine a inizio pagina è cambiata: non sto a spiegarvi cosa cazzo rappresenti, anche perchè credo che abbiate visto tutti Matrix (pillola azzurra, pillola rossa, tana del coniglio.... do you remember?). Spendo due parole, proprio per fare, oltre che lo sborone, un po' di pubblicità a una mia amica, su quella mia immagine barbuta mentre fumo. La foto originale l'ha scattata una professionista (qui mica stamo a pizza e fichi, eh...): la mia amica Lu. Questo è il link del sito dove carica tutte le sue opere (tra cui pure la mia foto a porta maggiore)... dateci (più di) un'occhiata, sono veramente degne di nota. Brava Lu!

domenica 12 luglio 2009

L'amore... lontano dagli scacchi!

Dal romanzo del carissimo Fabio Stassi - La rivincita di Capablanca__ Minimum fax editore-

Le donne che aveva avuto se le ricordava tutte (…) ma ancora di più, e con una precisione

assoluta, si ricordava di tutte quelle che avrebbe voluto baciare e non aveva baciato. Per un errore di calcolo, un contrattempo banale o, al contrario, per aver condotto un gioco eccellente, ma incapace di affrancarsi da uno stato di continua vigilanza e controllo. L’amore vuole mosse sbagliate, il coraggio di precipitare le sorti, di distruggere e proprie difese, di esporsi al gioco altrui e all’altrui decisione, ma a lui questo era del tutto restio. Per natura. Rammentava ciascuna di quelle storie incompiute: un incontro fortuito in libreria, la passeggiata pomeridiana in un parco, una cucina dalla luce gialla… circostanze in cui non gli era mai riuscito di rompere l’equilibrio della conversazione. Perché? Perché non aveva sacrificato nemmeno un pedone pur di innescare una qualsiasi conseguenza? Per quale assurdo ritegno? (…) Con le donne gli accadeva l’opposto di quello che praticava negli scacchi. Era magistrale nelle aperture, brillante nella fase di mezzo, ma assolutamente debole nel finale. Per fortuna nella maggior parte dei casi ci pensavano loro a toglierlo d’impaccio. La verità era che la vita rappresentava per lui una pausa dalle fatiche del gioco e preferiva che qualcun altro conducesse le danze e provocasse la catena degli avvenimenti che portano sino a una stanza d’albergo o al divano di una casa borghese. Non capiva che proprio così subiva gli unici scacchi della sua carriera. Alle tante donne che, al suo posto, sapevano prendere l’iniziativa, portava un profondo senso di gratitudine, ma niente di più, dopo il loro passaggio; le altre, invece, continuavano a tornargli in sogno, come una prova della sua insufficienza, e ci pensava così tanto che ogni volta stava per innamorarsene.

In fondo, quello che lo interessava davvero era elaborare una nuova maniera di sedurre. La sera, a cena, bastava che osservasse gli altri tavoli e avrebbe potuto recitare a memoria le battute di ciascuno. Era sempre la stessa commedia. Detestava appartenere al genere maschile, alla vigliaccheria che sempre, prima o poi, gli uomini finiscono per dimostrare nei rapporti amorosi. Lo animava una sorte di inconfessabile ideale cavalleresco. Aspirava allo stesso coraggio e alla stessa fantasia con i quali si batteva su ogni scacchiera. Come per il movimento della regina, provava un’infinita curiosità per quello di ogni donna che incontrava, e quasi un sentimento di giustizia, una voglia, un bisogno, di omaggiarla con una riverenza cristallina. E un risarcimento di sguardi e di parole autentiche. Come se l’amore potesse essere una solidarietà degli occhi prima che delle mani.

Di regola, cercava di attenersi a un’eleganza impeccabile, ma nascosta. Entrava in scena in punta di piedi. Ma la sua stessa silenziosa presenza creava nell’aria una tensione insolita. Evitava di acquistare meriti con le persone con cui parlava. Nuotava nel silenzio e nella gentilezza. Ma era vanitoso. E la sua fama lo aiutava. Gli cuciva addosso la maschera di un uomo geniale e di inconsueta sensibilità. In qualche caso, nei suoi giorni migliori, Capablanca sapeva strapparsela e con questo sacrificio, in un gioco di spericolato illusionismo, incantava la compagna del momento fino a lasciarle riconoscere nel suo il volto di un bambino

giovedì 2 luglio 2009

GoodBye, Top-Gun!

“ Ci vuole un po’ per abituarsi a questa idea. Ci sono momenti nella vita in cui bisogna saper scegliere e avere la forza di smettere quando dispiace ancora a qualcuno. Con questa Società c’è un rapporto vero e voglio ringraziarli di questa possibilità di lavorare nel settore giovanile, una nuova avventura in cui mi butto con entusiasmo.” Questa è stata la dichiarazione di Vincenzo Montella nell'intervista concessa ieri a RomaChannel.
L'areoplanino dopo una carriera straordinaria e tanti anni meravigliosi in giallorosso, lascia il calcio giocato, rimanendo comunque nella famiglia giallorossa in veste di allenatore per una squadra giovanile. (www.asroma.it)

L' 'aeroplanino' non volerà più dopo un gol d'autore. Vincenzo Montella ha deciso di appendere gli scarpini al chiodo per cimentarsi nella carriera di allenatore. L'ultimo insieme a Totti dei reduci dello scudetto giallorosso dell'era Sensi lascerà la squadra di Spalletti, ma non Trigoria dove dovrebbe prendere la guida di una formazione delle giovanili della Roma. L'ex attaccante di Empoli e Sampdoria non é partito quindi per il ritiro dei giallorossi che oggi, primi tra tutti in Serie A, cominciano la stagione 2009-2010. Top Gun lascia al calcio italiano il ricordo di tutti i suoi gol (141 in 'A' di cui 83 con la Roma), molti dei quali realizzati in acrobazia e di straordinaria bellezza. Resterà nella storia del club capitolino e dei tifosi affezionati a lui per i tanti gol e in particolare per il poker calato alla Lazio nel derby vinto 5-1 l'11 marzo del 2002. Nel giorno in cui comincia la preparazione della Roma, Montella decide di dire basta con il calcio giocato e di provare a rientrare in campo passando per la panchina. (www.ansa.it)


Ci vuole davvero un po' per abituarsi a questa idea... Non era solo l'ultimo reduce dello scudetto 2001, era qualcosa di più. Ma non so dirvi cosa. Peccato non sia stato sfruttato molto negli ultimi anni, perchè aveva ancora grandi doti.
Sicuramente era il mio giocatore preferito, ragion per cui il video del suo mitologico "poker" nel derby con la Lazzie è d'obbligo.
Ciao areoplanino, ora insegna ad altri a volare come te!

domenica 21 giugno 2009

Sei solo una miopia del cazzo

Non sei una terapia/ Sei solo una miopia//
Questa l'ha scritta mio cugino Pippo sul suo blog, Cervellonero, ed è tra le figure più delicate che, a mia opinione, abbia mai creato.
O forse sono rimasto affascinato perchè, semplicemente, io sto a pezzi.

Per quei pochi lettori che ho, volevo solo dire che una settimana fa' ho avuto il mio primo reading. Il prof Ligotti è finalmente riuscito a far stampare una nuova edizione dei Commentarii de bello poetico per il liceo Giulio Cesare, nei quali io compaio come veterano per la sezione poesia. Non è pubblicità, è solo un'introduzione, badate bene!
Questo perchè tra i versi letti, assieme ad "Aria" e "I gatti non mi miagolano attorno..." , spiccava questo 
pezzo...


Lo vuoi il mio cuore? Guarda:
è lì l'ho accartocciato
in un giornale rosa.
Nessuno lo raccoglie, a malapena
ci piscia sopra un cane...

Scritta all'inizio di quest'anno di merda, il quale ogni giorno che passa non fa che confermarsi uguale a se stesso e più bastardo.
giorni di ghiaccio e di merda 
mi sembra di essere una candela nel vento  e vorrei solo 
chiedere al cielo una donna 
che ami me
Rappresentanti di giorni di merda
quanti me ne avete venduti quest'anno
-M. Repetto-

Porco il clero pippo, quanto è vero: Non sei una terapia/ sei solo una miopia//
Ma quale utopia, per dio... solo una miopia del cazzo.

mercoledì 17 giugno 2009

Tu, vento di marzo

Così Pix scoprì il grandissimo Pavese, almeno come poeta:

You, wind of March

Sei la vita e la morte.
Sei venuta di marzo
sulla terra nuda -
il tuo brivido dura.
Sangue di primavera
- anemone o nube -
il tuo passo leggero
ha violato la terra.
Ricomincia il dolore.
Il tuo passo leggero
ha riaperto il dolore.
Era fredda la terra
sotto povero cielo,
era immobile e chiusa
in un torpido sogno,
come chi più non soffre.
Anche il gelo era dolce
dentro il cuore profondo.
Tra la vita e la morte
la speranza taceva.

Ora ha una voce e un sangue
ogni cosa che vive.
Ora la terra e il cielo
sono un brivido forte,
la speranza li torce,
li sconvolge il mattino,
li sommerge il tuo passo,
il tuo fiato d'aurora.
Sangue di primavera,
tutta la terra trema
di un antico tremore.
Hai riaperto il dolore.
Sei la vita e la morte.
Sopra la terra nuda
sei passata leggera
come rondine o nube,
e il torrente del cuore
si è ridestato ed irrompe
e si specchia nel cielo
e rispecchia le cose -
e le cose, nel cielo e nel cuore
soffrono e si contorcono
nell'attesa di te.
E' il mattino, è l'aurora,
sangue di primavera,
tu hai violato la terra.
La speranza si torce,
e ti attende ti chiama.
Sei la vita e la morte.
Il tuo passo è leggero.

La canzone sù è per ricordare la (forse) più grande voce femminile della musica italiana: Mia Martini... Oltre a essere, come al solito, una sorta di "message in a bottle"; ma chi mi conosce ormai sa che è perfettamente normale...
GUARDAMI IN FACCIA QUANDO MI PARLI.... SE SEI SINCERA!
Un altro verso indimenticabile

lunedì 8 giugno 2009

Poesie sparse...5

Il verso è morto, e inutile è poesia:
non serve più nemmeno a rimorchiare.
Poetare porta in sacca zero titoli.
Baci 'letteratura! Au friedersen!
Resta però il dilemma su che fare:
la chimica sarà mai il mio mestiere
se non riesco nemmeno a ricavare
la formula-reazione del tuo amore

...battito accelerato, sudorazione, aumento di energia, a volte di sonnolenza e perdita di appetito. Insomma quella sensazione nella pancia… che ci fa perdere la testa! La “dopamina”, la “norepinefrina” o la “feniletamina” vengono a loro volta innestati da impulsi visivi o uditivi legati solo ed esclusivamente alla persona di cui ci stiamo innamorando. Nei primi stadi di una relazione i livelli di serotonina sono simili a quelli presenti in un malato di ossessione compulsiva! Anche se questo approccio non è tra i più dolci, ci può fare riflettere molto sugli effetti dell’amore. Negli stadi più avanzati di una storia d’amore, l’agente chimico “ossitocina” è il responsabile del legame forte che si crea tra due persone. Tra l’altro, si tratta dello stesso agente chimico che consolida il legame madre-figlio. L’effetto di questo agente disinibisce quello della “norepinefrina” e della “feniletamina”: per questo la passione dei primi mesi diminuisce nel corso del tempo; al suo posto si instaura un rapporto di amore profondo e totale che è destinato a crescere. Dall’”endorfina” invece deriva la sensazione di rilassamento e felicità, tipica di quando si ha una storia d’amore.

domenica 31 maggio 2009

Poesie sparse...4

















"L'AQUILONE"

Tra macchine perennemente in fila
musiche sfilacciate
binari senza treni di passaggio
antenne su terrazze sconosciute
e nuvole che non vanno a dormire
un aquilone giallo e azzurro vola


Per tutti coloro che non si rendono conto che spesso le cose semplici sono le più belle.
... E per citare Coppola, "Aspetto la bellezza"...

martedì 19 maggio 2009

Poesie sparse....3

Il problema è essenzialmente uno: dancer o denser?
Il senso della canzone cambia completamente: Nel primo caso (Are we human or are we dancer) si intenderebbe "siamo uomini o marionette?" (e allora c'è un destino incontrollabile che ha già deciso per me e al quale non mi posso opporre).
Oppure, prendendo per buono "denser", cioè "più denso", tradurremmo "siamo uomini o siamo qualcosa di più?"
Cazzo se è poetico.
Cosa c'entra questo? Niente, era tanto per introdurre 'sti due versi, sotto cui c'è molto meno di quanto possa sembrare:

Tu scendi dalle scale e del mio cuore
non ci capisci una beata mazza
Non so se non mi ami o se fai finta:
Il cuore parte a ritmo sussultorio.
Tu passi di sfuggita e io ti vedo
solo attraverso cancelli e finestre.
Sono le cose che non vuoi capire
cose che non puoi proprio attraversare

Quando una donna va con gli occhi a terra
piange e rivela cose che non dice


Il commento del magister: persegue una linea di moderno dolcestilnovo che vorrebbe farsi rabbioso senza riuscirci...

domenica 10 maggio 2009

Dovevamo saperlo che l'amore -parte 3-

Se non vi degnate di commentare nemmeno questo, si vede che di storia e/o politica, non capite proprio un cazzo... dal già citato libro del professor Ligotti...

Lo hanno ammazzato.
Da non credere. Questa è la fine. La fine di tutto. La fine della politica.
Certo, non era un santo. Era pure stato difensore d’ufficio delle malefatte della DC. Ma che c’entrava ammazzarlo?
Ha vinto l’oscurità, la doppiezza, l’impostura. Da questo momento sarà impossibile tornare a fare politica come servizio. Hanno vinto i poteri occulti.
Adesso li arresteranno, si faranno arrestare, uno per uno. Qualcuno poi incomincerà a parlare. Ma non dirà mai tutto. Ammesso che questo qualcuno sappia qualcosa. Ma qualcuno sa. E poi non si scappa. O fra loro c’erano infiltrati, o in ogni caso si sono lasciati utilizzare, ‘sfruttare’. Ma non lo sapremo mai. Avevo visto giusto. E anche Tomasi aveva visto giusto. Anche se per lui non fa differenza. Per lui brigatisti, Berlinguer, Pajetta e company discendono tutti dalla stessa matrice, dallo stesso ceppo, ed è un ceppo maledetto… L’assassinio di Moro per lui è la conferma della sua premonizione, come un anatema: il comunismo crollerà. Stavolta ha rifinito il concetto: anche il PCI morirà. Prima si affloscerà, poi scomparirà. Non arriveremo al duemila che il PCI scomparirà dalla scena. Per una volta tanto spero che abbia ragione. Al posto del PCI, un grande partito veramente democratico, azionista, intransigente. Ma non credo che ci sarà spazio. Anche questo progetto hanno fatto fuori. Direi, soprattutto questo progetto. No, non era il PCI a fare paura: era l’intransigenza delle coscienze. Altro che compagni che sbagliano, questi sono killer coscienti e prezzolati. Hanno ucciso la politica, hanno segnato il futuro, lo hanno marcato a sangue, almeno per i prossimi cinquant’anni. Signori miei, mettetevi il cuore in pace. Ma su una cosa Tomasi sbaglia. Quando dice che, una volta presi, questi non usciranno più di galera. No. Questi signori dell’omertà usciranno di galera. È, probabilmente, il prezzo che avranno pattuito. Usciranno e apriranno dei salotti letterari. Poi si convertiranno alle ragioni di quella che continueremo a chiamare ‘democrazia’.
Quelli saranno tempi duri. Il clima sarà mutato. E non parlo del clima politico. Sarà quasi impossibile uscire di casa. Le piazze saranno divenute un manicomio. Una marea di macchine. La consacrazione del nuovo feticcio. Il loro numero raggiungerà quello delle teste pensanti. E non ci sarà più gara. Solo targhe. Tutti vittime. E carnefici. E soprattutto dovremo fare finta di niente. Magari ci consoleremo con qualche nuovo aggeggio tecnologico, di quelli che sulle prime ti fa dire ‘no, non me lo farò mai, io non sto nel gregge’. Ma poi te lo fai, sì che te lo fai. Te lo acquisti. E non è detto che siano tutti da buttare via. Tanto per non sentirti del tutto isolato. Dalle illusioni, dal futuro, da nuove prospettive. Perché è così. Perché per l’uomo tutto si riduce a questo. E non è una cosa astratta, una fola, una nuvola. Le nuvole non si costruiscono. Ma l’affanno per il futuro, per la solidità del futuro, per un futuro di soddisfazioni, questo sì che si costruisce, si medita, alle volte si pianifica pure. Anche i vecchi, nel tumulto dell’arteriosclerosi, parlano della felicità. E per questo vogliono scendere in strada. Tutti vorremmo scendere in strada. Il problema della felicità è legato a quello dello spostamento e della vista. Per questo hanno creato l’automobile. Per farci spostare, per aprirci gli orizzonti, per essere più felici. Ma poi si è scoperto l’imbroglio. Gli spazi si sono ristretti, gli orizzonti sono stati cementati, le automobili hanno invaso la battigia. Fra poco saremo tutti isterici. E allora la felicità mostrerà il suo vero volto: quello di un’angoscia mai sazia. A quel punto ci guarderemo attorno e scopriremo qualche altro marchingegno, ecco come ci arriveremo, qualcosa che ti permetta di essere perfettamente solo, perfettamente inebetito, ma trasognato. Allora nessuno si ricorderà di questo 9 maggio.
Sono stanco. Adesso chiamo Rino, giù in Sicilia, lui è uno psichiatra, sì, lo chiamo e mi sfogo con lui:
“Pronto… Rino, hai sentito?”
“Ho sentito, sì. Ma…”
“… che c’è?”
“C’è… di peggio.”
“Cosa?”
“Oggi stesso. Lo hanno ammazzato. Hanno ammazzato il mio amico…”
Non avrei mai conosciuto Peppino Impastato.
Da quel giorno esatto ho smesso di fare politica.

giovedì 7 maggio 2009

Domani

L'abbiamo dimostrato ancora una volta. Lo dimostriamo sempre: spesso e volentieri ci abbandoniamo a facili campanilismi e a razzismi intestini (Milano in fiamme! Roma ladrona! Napoli merda! e via discorrendo...), ma quando c'è un problema vero e reale è come se tutte queste parole non le avessimo nemmeno mai pensate. La tragedia ci apre il cuore, la morte tira fuori la nostra parte più intima, ciò che siamo veramente. Ed è qui che scatta l'istinto di fratellanza nazionale che troppo spesso tendiamo a scordare.
Non è vero che servono i mondiali di calcio per riscoprirci nazione.
6.IV.2009, ore 03:32 circa: la terra, emblema di rifugio e sicurezza, si rivela una puttana traditrice. Alle 10:00 di mattino l'emergenza primaria è il sangue? In meno di sette ore quell'emergenza non esisteva più. Tutta l'Italia si è privata di qualcosa per tappare la ferita, ancora profonda cicatrice, che ha intaccato una delle sue regioni più belle. L'Italia ha veramente dato il sangue per l'Abruzzo, l'ho già detto: quando alle 18:00 di lunedì sono andato all'AVIS per fare una donazione mi è stato risposto che non ce ne era più bisogno.
Anche in termini pratici, di "mani", un solo pensiero è passato per la testa di tantissimi italiani "Andiamo... aiutiamo!".
Certo, significa anche, nel caos creatosi "Andiamo... e intralciamo"; è vero. Ma l'importante è che questo sentimento ci sia stato: il sentimento di servizio gratuito, dettato dal cuore.. Come in Friuli, in Irpinia, o a Firenze dopo l'alluvione... Dopo un solo giorno i volontari erano due per abitante. Molti che volevano partire hanno rinunciato: avevano capito che sarebbero stati solo d'intralcio.
Ora, lentamente, l'asse dell'attenzione collettiva si sta spostando: il mondo ci passa ogni giorno segnali contrastanti e di scarso interesse ( Noemi e il suo "papi", la nuova xenofobia messicana per la febbre suina, il magnate Flick che non compre più la Roma...)
Dove i giornalisti vanno viavia scemando (alleluja), la musica riporta una grande ulteriore vittoria, provando quando possa unire nella diversità.
21.IV.2009 In seguito a un'idea di Giuliano Sangiorgi, Lorenzo Jovanotti e Mauro Pagani, 56 artisti del panorama musicale italiano si incontrano allo studio di registrazione di quest'ultimo per incidere "Domani 21/04/2009", un brano alla maniera di "We are the world" e "Do they know it's Christmas?".
Il 6 maggio, alle 3:30, a un mese esatto dal terremoto, il pezzo entra in rotazione radiofonica e televisiva. Gli artisti hanno lavorato a titolo completamente gratuito, e il ricavato sarà devoluto per la ricostruzione del conservatorio "Alfredo Casella".
Tutti sono perfettamente integrati: è vero, si canta (molto) poco per ognuno, ma il ritmo convincente in cui si inseriscono senza difficoltà anche i rappers è sublimato dal delicatissimo violino di Mauro Pagani e dai voluti contrasti vocali tra i cantanti (Gianna Nannini ed Elisa, che cantano una dopo l'altra), e tutto questo non può non piacere.
Non mi vergogno a dire che al primo ascolto mi sono venuti i brividi, al secondo mi sono commosso e al terzo ho pianto.
La poesia del testo, che "scorre" da una bocca all'altra, resta intrisa della drammatica attualità ("Estraggo un foglio nella risma nascosto
scrivo e non riesco forse perché il sisma m' ha scosso" o "non bastano le lacrime ad impastare il calcestruzzo
eccoci qua cittadini d' Abruzzo"
e "aumentano dintensità le lampadine una frazione di
secondo prima della fine"), condita in certi momenti da un forte realismo personale ("la tua patria da ricostruire,
comu le scole, le case e specialmente lu core
e puru nu postu cu facimu l'amore") e da metafore di sicuro effetto (come l'aquila che vola libera tra il sole e i sassi/ siamo sempre diversi e siamo sempre gli stessi/) il cui scopo è sottolineare quanto detto prima: il dolore uscito dalla terra ha intaccato anche noi, e non potevamo fare finta di niente. I volontari non sono angeli scesi dal cielo: sono sempre le stesse normalissime persone con cui scherzi, bevi assieme e ti confronti. Semplicemente hanno risposto subito al muto richiamo di aiuto "Siamo così soli". E' la comunità che si riscopre, l'uomo catapultato bruscamente da un modello di vita che favorisce l'individualismo a un altro in cui, senza avere molto, si mette quel poco che si ha a disposizione del vicino, che magari fino al giorno prima era un perfetto sconosciuto. E non è facile.
Forse non è vero che "con un po' di fortuna si può dimenticare"; ma la speranza è che "domani si passa il confine: e di nuovo la vita sembra fatta per me: e comincia... domani.."
Se siamo insieme, DOMANI E' GIA' QUI!

venerdì 1 maggio 2009

Poesie sparse... 2

I gatti non mi miagolano attorno
se non cercano cibo e sono femmine
La notte traditrice sfuma tutta
la morte dei palazzi e i contorni
di te di me e della città incosciente..
Ascolto quell'odore non preciso:
la voglia inaspettata di Milano.
Le antenne non trasmettono l'amore.



P.S.: La canzone nel video è "La città che muore" di Fabrizio Coppola, che sarà a Roma sabato 9 maggio, al Contestaccio. E' evidente che mi sono ispirato molto a questa canzone per questi versi; ma come dice lo stesso Coppola, nemmeno lui può "mettersi a inventare delle cose: prende delle cose e le mette insieme".... e ci mette sopra del suo.
Bag your pardon se in questa poesiola c'è qualcosa di suo...

domenica 29 marzo 2009

.. passioni...

Ciao gente! Questa ora legale, oltre a farmi girare parecchio le palle per una questione di gusti personali legati alla luce nelle ore serali, mi sta distruggendo. Un anno e 5 giorni fa, stando a leggere il mio quaderno degli appunti, scrivevo "Nata Rima", poesia forse non riuscitissima (che potete trovare in queste pagine), ma senza dubbio per me molto importante, perchè "inizio" di un nuovo periodo... che nella sua nullità ancora non è finito. Da qui un paio di riflessioni sulle passioni, secondo la filosofia di Spinoza.
Al pieno esercizio della ragione si oppongono le passioni; bisogna perciò conoscerle analizzando in modo scientifico la vita emotiva.


Le passioni sono fenomeni come tutti gli altri, determinate dalle leggi eterne e immutabili della natura, e come tali vanno studiate, non diversamente dalle figure geometriche. per capire cosa sono le passioni dobbiamo riferirci alla dinamica che si istituisce nel rapporto tra corpo e anima. Quando un corpo entra in contatto con altri corpi si determina una modificazione, o affezione, la quale è accompagnata dalla consapevolezza, cioè dall'idea o affetto, della modificazione stessa. Nel rapporto con le altre cose l'uomo è perciò coinvolto attraverso sia l'anima che il corpo.


Ora tutto ciò che esiste è animato da una spinta interna volta a conservare o a perfezionare il proprio essere. Sul piano emotivo questa spinta si manifesta come desiderio, che può essere favorito o ostacolato a seconda delle circostanze. Quando il desiderio è favorito, nell'essere desiderante si manifesta un affetto positivo che è la gioia; quando il desiderio è ostacolato, la mente prova tristezza, cioè un affetto negativo che la deprime e la impoverisce; questo tipo di affetto è ciò che Spinoza indica propriamente come "passione".

Desiderio, gioia e tristezza sono per Spinoza gli elementi costitutivi dell'emotività; da essi hanno origine tutti gli altri affetti e passioni, innanzitutto l'amore e l'odio, che conseguono direttamente dalla gioia e dalla tristezza, in quanto non sono altro che le stesse gioia e tristezza accompagnate dall'idea dell'oggetto che le ha prodotte. Allo stesso modo si deducono poi tutti gli altri stati emotivi.

Ora, gli affetti possono essere sia attivi che passivi, a seconda che siano accompagnati da idee chiare e distinte (l'affetto è quindi azione) o da idee confuse (l'affetto è dunque passione). Si prova passione quando l'individuo è condizionato da cause esterne che non dipendono da lui e dalle quali subisce una pressione, senza saperne spiegare le cause. Per esempio, chi si affida all'immaginazione (il primo confuso grado della conoscenza) colloca disordinatamente gli eventi nel tempo e, influenzato dalla precarietà dell'esistenza, si lascia prendere da due passioni uguali e contrarie, il timore e la speranza, che hanno in comune l'atteggiamento instabile verso un futuro presunto: la speranza è gioia incostante, il timore tristezza incostante davanti all'avvenire che si preannuncia ambiguo; l'individuo è allora prigioniero. Quando invece la mente sa spiegare pienamente ciò che accade, dentro e fuori di se, si trova in una posizione attiva, in uno stato di pienezza accompagnata dalla gioia.

La conoscenza adeguata è dunque la via che porta a limitare l'incidenza negativa delle passioni, le quali sono il segno della finitezza umana. Essendo parte della natura, l'uomo non può sottrarsi agli effetti prodotti su di lui dalle cose esterne, non può essere sempre attivo; in questo "patire" (essere oggetto di pressioni esterne) consiste la sua finitezza.

Ma, grazie alla conoscenza, egli può diventare consapevole dello stato in cui vive; allora comprende che le passioni appartengono inevitabilmente alla natura umana e le accetta come tali, senza lasciarsi deprimere dalla tristezza di fronte a eventi sui quali non ha nessun potere di controllo.

sabato 7 marzo 2009

Alziamo il capo! - da "Pensare la legge" di Andrea Zampetti.


Con questo post, forse apriremo una piccola collana. Sarà tutto da vedere, e dipenderà da quanto interesserà i miei due-quattro occasionali lettori. Ciò che scrivo è la fedele trascrizione di alcuni passi del breve saggio "Pensare la legge", libercolo che ho apprezzato moltissimo e ri-letto più volte. L'autore è tale Andrea Zampetti, che per quanto mi riguarda, prima di ogni altra cosa è un Capo scout meraviglioso, seriamente convinto del valore dei princìpi della Legge scout; legge che, tengo a dirlo, non è dissimile nè dalle leggi del Signore, nè dalle norme comportamentali che dovrebbero avere tutti i buoni cittadini.


Comincio, visti alcuni recenti avvenimenti, e quindi la triste attualità di queste righe, da un articolo difficile...


LO SCOUT SORRIDE E CANTA ANCHE NELLE DIFFICOLTA'


L'accettazione delle difficoltà della vita è una scuola di solidità della propria esistenza e di responsabilità delle proprie azioni.

Non significa essere scemi, deficienti o irresponsabili, ma avere cognizione della REALE portata delle cose che accadono.

E' una scuola di vita, perchè non sono cose che si possono capire da ragazzi, quando la propria immortalità sembra essere un fatto assodato e incontrovertibile, come la propria invulnerabilità.

Invece gli scout e le guide, imparando a prendere bene le avversità quali il maltempo, la perdita del materiale, la rottura di un mezzo di trasporto, la ferita di un compagno, un proprio incidente, il perdere una gara, etc., immettono nel proprio cervello gli anticorpi che poi, quando servono, verranno fuori e consentiranno di reagire evitando la depressione, alle avversità gravi che possono capitare a tutti.

parlo della malattia di un genitore, della sua morte, della perdita di un affetto importante (ad esempio un divorzio, la perdita di un figlio), un grave rovescio economico, la perdita del posto di lavoro, un processo, un arresto, e via discorrendo nell'elenco di fatti che, però, non deve essere visto come un elenco di sciagure per fare gli scongiuri,, ma di eventi assolutamente passibili ed ordinari, contro i quali non si può cozzare inutilmente il cranio, ma che devono essere "razionalizzati" ed inseriti in un ambito più vasto rispetto alla perdita di una posizione che si credeva acquisita in eterno.


In altre parole la frase "sorride e canta anche nelle difficoltà" non significa "fugge dalle difficoltà e dalle proprie responsabilità", ma "capisce la difficoltà, la accetta e la affronta sempre con spirito positivo".

Esempio: un genitore si ammala e muore.

Può essere vista, questa cosa, in due modi: la disperazione per la perdita o, fermo restando il dolore immenso che la perdita crea, un evento naturale della vita, interpretato cristianamente come passaggio alla vita eterna della persona cara.


Questo è l'esempio più semplice, perchè la morte e la vita sono intimamente connesse e capita più o meno a tutti; ma parliamo della perdita del posto di lavoro, o del non trovare affatto lavoro, o ancora del non riuscire a completare gli studi.

Anche qui, la cosa può generare depressione, cioè trovarsi in un vicolo cieco e chiudere gli occhi per non guardare in faccia la realtà e ficarsi sempre di più nell'angolo, fino a fare di quell'angolo la casa della propria mente.

Mi soffermerò un po' su questi temi, con delle storie (vere e inventate) per una personificazione delle questioni, finalizzata a rendere comprensibile un aspetto che rischia di rimanere nel "romantico" delle avventure scout, ma che invece affonda i suoi artigli profondamente nella carne dell'esperienza reale (formata alla famosa "università della vita" di cui parla BP).


Storia


Una persona (scout) è l'immagine dell'attività, dell'esplosione della vita. Fa mille cose, mille sport, mille giri, etc. In uno di questi giri subisce un incidente e rimane sulla sedia a rotelle, fermo dalla vita in giù.

Queste quattro parole non esprimono la tragedia totale della vita di questa persona.

Operazioni, rieducazioni, calvario senza fine per una povera schiena che non vuole saperne di funzionare. Il tutto in un'altalena di speranza e disillusione, in una doccia scozzese per la mente, che però, in fondo, lo sa benissimo che tanto...


Quanti si sarebbero abbattuti e depressi?


La depressione è un rifugio che sta nel cavo della nostra mente, in un buco posto come una trappola sul nostro cammino intellettuale.

E' un cortocircuito che ci fa fare una scorciatoia verso un luogo di (apparente) pace mentale nel quale esistiamo solo noi, e non rapportandoci al mondo che rifiutiamo, in fondo - pur nella drammatica sofferenza- stiamo sempre meglio di quanto staremmo guardando in faccia la realtà.

O almeno così crediamo ( e è qui il cortocircuito): in realtà, la... realtà è molto meglio di quanto la nostra paura ce la fa apparire. Se solo riusciamo ad alzare gli occhi, e a guardare in faccia le nostre paure, scopriamo che la tentazione della depressione è una tentazione del male, che ci vuole impedire di ascoltare il Cristo quando ci dice di non temere nulla, se noi siamo con Lui e Lui è con noi.


Quanti avrebbero razionalizzato la situazione e sarebbero riusciti a venirne fuori? Quanti sarebbero tornati in moto (anche se a tre ruote!), sarebbero andati in canoa sui torrenti di montagna, si sarebbero felicemente sposati, avrebbero sciato, avrebbero partecipato alla maratona di New York!!???

Beh, io questo lo chiamo sorridere e cantare nelle difficoltà!!

martedì 17 febbraio 2009

Poesie sparse... 1


La luce dei lampioni giù per strada

colora i marciapiede già di rosso

La luna argentea falce splende sola

e il cielo è bianco ancora senza stelle.

Nell'aula senza luce l'atmosfera

è strana e per i rami i raggi passano.

Io soffio fumo: danza irregolare

si perde ma il soffitto non lo tocca.

..E tutto questo in fondo

un poco ti somiglia