venerdì 18 luglio 2008

..e Paolo Borsellino

Ciao a tutti, come al solito, dietro allo schermo, è Pix che scrive.

E' venerdi sera; mancano due orse scarse alla mezzanotte, e scommetto che molti di voi hanno di meglio da fare piuttosto che stare qui al pc, e se la stanno spassando.
Altri di voi no. Siete lì al pc, vi state sbattendo, e non vi date pace.
Ma tra tutti voi, quanti si ricordino della ricorrenza di domani, non so proprio. Credo di non aver detto abbastanza, e vi voglio perciò postare questo video dell'epoca, con Giovanni Paolo II che parla ai siciliani. A me ha sempre fatto molta impressione vederlo così incazzato...
L'altra chicca che vi propongo è ancora un'altra poesia in terza rima del già citati professor Giuseppe Elio Ligotti.
Un'invettiva contro la Sicilia. Un canto d'odio che si scioglie in un endecasillabo d'amore.

Povera mia Sicilia, terra infame,
barocca del tuo pizzo di lenzuolo
sfatto di sangue su sfatto catrame

tumuolo d'autostrade sottosuolo
minato a salve mani, che più del sole
alta è la cieca luce del tritolo.

Alto l'azzurro svena nelle gole
altissimo il falcone sulla bocca
che freme e fiotta come un girasole.

E freme per la rabbia che a me tocca
subire a forza come in una bara
saldata a stagno. E mentre qui rintocca

gli uomini della croce e insieme a gara
del garofano, gli altri in processione
vanno azzurrati a ray ban. Giù in tonnara.

Stretto nel doppio petto ad un cordone
sanitario, qualcuno offre misure,
le misure speciali di un'azione

ferma, financo di superprocure.
Boia che ha in mente il vizio d'una storia
scambiata a voti: da omertà e paure.

Serva Sicilia hai fatto promemoria
del vuoto d'indolenza e di bandiera.
Brava Sicilia, hai fatto sanatoria,

e ti sei fatta, a/mare, pattumiera;
porcile porporato di pontefici
in un conclave magno di colera.

Brava Sicilia madre dei tuoi artefici
parassiti, concime di te stessa.
Tu continui a votare i tuoi carnefici.

Tu sbavata, tu turpe autorimessa
tu coagulo coca crac mass media,
tu ruga assurda; calce: baronessa.

Questo è il tuo vespro. La pietà che assedia
non ha più forze. E, allora, dove infrangere
la testa la paura? La tragedia

è amarti d'odio, e odiando amore piangere.

sabato 12 luglio 2008

...Giovanni Falcone

Ciao a tutti.
Tra una settimana, si parte per il campo esploratori finalmente.
Tra una settimana, è anche il 19 luglio.
Non me lo posso certo ricordare, perchè avevo sei mesi appena; ma sedici anni fa, lo stesso 19 luglio, l'Italia ebbe la disgrazia di perdere uno dei suoi ultimi veri eroi: il magistrato Paolo Borsellino.
La storia è saputa e risaputa, e non sarò certo io a ripetere l'ovvietà su queste pagine. E' una realtà storica che sentiamo ancora, che ricordiamo, che ci colpisce.
Borsellino diceva continuamente di "parlare" della mafia; come se il solo parlarne potesse infondere un coraggio tale da impaurire Cosa Nostra, e farne cessare l'esistenza stessa.

Prima del loro operato, lo Stato non aveva mai preso in seria considerazione la lotta alle attività mafiose, tanto che negli anni '70 la maggior parte dei magistrati stessi erano convinti che Cosa Nostra fosse ormai debole e innocua. La loro lotta e il loro coraggio ci mostrano che però non è un nemico invincibile, perchè le mani gli sono state morse, perchè è stata messa in ginocchio.

Da buon poeta, voglio ricordarli, nell'anniversario della morte dell'ultimo "combattente sopravvissuto", con delle terze rime tratte da un'opera di Giuseppe Elio Ligotti, dal nome di "Una mezza Commedia"; il folle tentativo di rappresentare, con un romanzo in versi che segue lo schema di Dante, l'inferno del Presente, confortato però dalle voci del Passato di personaggi quali Leopardi, Galileo, Papa Giovanni XXIII, Carlo Roselli, Giovanni Falcone, e altri..
Vi propongo uno straccio del canto nel quale il protagonista incontra (in sogno, forse?) proprio il giudice Falcone:

(...)
"Ero raisi al servizio della Legge
ma più d'uno mi tolse la paranza
e al pascolo del mare tolse il gregge.

La conclusione è sempre la mattanza.
Muore chi entra in un gioco superiore,
muore chi è solo: per pura mancanza

d'appoggi, d'alleanze. O per errore"
espirò lentamente una voluta.
"Io ne commisi uno. Io, servitore

d'uno Stato che serve la cicuta
accettai le lusinghe d'un podere
in città, di facciata, e decaduta.

Io commisi l'errore di volere
scoperchiare il Coperchio e le fornaci
passando nella stanza del Potere

fra collusi, corrotti ed in-Capaci.
Lasciai l'isola. e questo 

mi fu male."
Sostò un attimo a spegnere le braci.

(....)

Prese a cercare poi una sigaretta
che non trovava. Chiese nicotina

che non avevo. Disse, senza fretta:
"Bisogna sempre averne una riserva.
la tua scorta è una guida, una staffetta.

Prendila. E' il tuo sostegno e ti conserva."
Lo interruppi: "Qualcuno è la al casello
dell'orizzonte. Un uomo che ci osserva."

Si morse un labbro. Disse: "Altro tassello
del fuoco. Altro mosaico di pietà.
Viene dalla mattanza. E' un mio gemello

di sangue morte e luminosità.
Perchè la terra ancora non è insorta?
Perchè moriamo in una libertà

da sempre vigilata o, forse, morta?
Mi porta sigarette da consumo.
Diamo fuoco alle ceneri, alla scorta


del mondo. Che, in sostanza, è niente, è fumo."